Endofenotipi per comprendere la genetica dei disturbi mentali

 

 

ROBERTO COLONNA

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XVII – 04 aprile 2020.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Durante l’ultima decade sono stati identificati numerosi loci di suscettibilità allo sviluppo di disturbi psichiatrici mediante analisi genetiche GWAS, estese all’intero genoma. A lungo, questo genere di studi si è basato prevalentemente, se non esclusivamente, su campioni costituiti da pazienti caratterizzati da una precisa diagnosi psichiatrica formulata secondo i criteri nosografici correnti. Negli anni più recenti si è verificato un mutamento di tendenza, che ha condotto a una progressiva transizione verso la prevalenza della strategia di accertamento basata su grandi campioni significativi e rappresentativi della popolazione generale. In tal modo, sono state ottenute informazioni genotipiche insieme con dati fenotipici eterogenei e vari.

Sandra Sanchez-Roige & Abraham A. Palmer propongono la strategia della fenotipizzazione, con la possibile caratterizzazione di endofenotipi, per trovare un filo di Arianna nel labirinto della genetica dei disturbi mentali.

(Sandra Sanchez-Roige & Abraham A. Palmer, et al., Emerging phenotyping strategies will advance our understanding of psychiatric genetics. Nature Neuroscience – Epub ahead of print doi: 10.1038/s41593-020-0609-7, 2020).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Psychiatry, University of California San Diego, La Jolla, CA (USA); Institute for Genomic Medicine, University of California San Diego, La Jolla, CA (USA).

Gli studi genetici classici, pur avendo evidenziato l’importanza dei fattori ereditari per la maggior parte delle malattie psichiatriche e delle sindromi psicopatologiche in genere, non hanno fornito dati semplici e diretti di un’eziologia genetica circoscritta ad un particolare gene o set di geni per un dato quadro clinico. Una parte delle ragioni è probabilmente anche da attribuirsi al fatto che le classificazioni basate su criteri clinici non individuano – come da decenni sostenuto dal nostro presidente – classi al loro interno omogenee per eziopatogenesi; ma, più in generale, le alterazioni fisiopatologiche che condizionano lo sviluppo di sintomatologia psichiatrica sembrano poter originare da numerosissimi alleli di rischio differenti, in grado di contribuire con fattori epigenetici e ambientali allo sviluppo di difetti diversi in termini molecolari, ma spesso convergenti nel causare un tipo di sintomo clinico (allucinazione uditiva, delirio di riferimento, ecc.).

La genetica della schizofrenia, ad esempio, dopo gli infruttuosi tentativi compiuti con la strategia dell’associazione (linkage) negli anni Novanta, dopo il sequenziamento del DNA umano ha fatto qualche progresso con le analisi estese all’intero genoma (Psychiatric GWAS Consortium Coordinating Committee, 2009), che non hanno trovato geni di rischio associati alla dopamina, come ipotizzato dai fautori della teoria dopaminergica della schizofrenia, ma alla neurotrasmissione glutammatergica. Una meta-analisi dei maggiori studi mostrava una infatti una forte associazione della psicosi con alleli del gene codificante la subunità NR2B del recettore del glutammato NMDA.

Si è poi compreso che per raggiungere la significatività statistica di un rischio fra 1.1 e 1.4 per un singolo allele è necessaria un’analisi condotta su migliaia di soggetti. Studi policentrici di vaste proporzioni hanno soddisfatto questo requisito, senza ottenere i risultati sperati, se si eccettua il gene di una proteina a dita di zinco[1]: ZNF804A.

Una possibilità per gli esiti negativi è l’interazione diretta gene-gene fra alleli comuni, che non può essere testata mediante l’analisi del polimorfismo del singolo nucleotide (SNP). Un’altra ipotesi, che ha trovato supporto anche in risultati recenti, attribuisce l’aumentata probabilità di sviluppare psicosi schizofreniche a mutazioni rare ad elevata penetranza.

Consideriamo il caso dell’autismo. In circa il 5-10% delle diagnosi di disturbo dello spettro dell’autismo (ASD, da autism spectrum disorder) si individua una causa genetica diretta o espressa attraverso una patologia neurologica o internistica, quali paralisi cerebrale, sclerosi tuberosa, sordità congenita, sindrome dell’X fragile[2], anomalie congenite multiple, anomalie cromosomiche e errori congeniti del metabolismo. Le manifestazioni di ASD sono incluse tra i disturbi pervasivi dello sviluppo, che comprendono l’autismo, la sindrome di Asperger, il disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato (secondo il DSM), il disturbo disintegrativo dell’infanzia e la sindrome di Rett. Generalmente, quando si parla di ASD, ci si riferisce alle prime tre sindromi.

Fin dagli anni Settanta (Folstein & Rutter, 1977), mediante studi su famiglie e gemelli, si è compresa la forte base genetica di questi disturbi, supportata da numerosi lavori dei decenni seguenti (Bailey, 1995), ma è subito stato chiaro, mediante le analisi GWAS, che si tratta di una genetica complessa[3]. Vari studi hanno poi dimostrato che l’epistasi, ossia l’interazione gene-gene, e l’emergenesi, ossia interazioni sinergiche tra fattori causali, possono essere molto importanti; anche se il modo in cui queste influenze si esprimono non è ancora stato provato con chiarezza[4].

Torniamo alla prospettiva proposta da Sandra Sanchez-Roige & Abraham A. Palmer per decifrare la genetica dei principali disturbi mentali.

Uno dei vantaggi degli studi basati su campioni di popolazione è che in aggiunta alle diagnosi cliniche e a vari tratti per le diagnosi (fenotipizzazione minima), in molti casi forniscono fenotipi non-clinici, compresi ipotetici endofenotipi, che possono essere usati per studiare domini di funzione normale in aggiunta o in alternativa a diagnosi cliniche.

Lo studio degli endofenotipi consente sia di individuare profili endofenotipici diversi in pazienti con la stessa diagnosi, secondo un criterio convenzionalmente definito di splitting, sia di raccogliere per similitudine profili simili in una classe psicopatologica nuova, multipla rispetto alle sindromi classiche, realizzando un apparente clumping[5]. Tale studio potrà tanto confermare gli attuali criteri nosografici quanto mettere in crisi il senso di categorie diagnostiche sostenute finora dal profilo clinico. Soprattutto, la definizione di endofenotipi psicopatologici su basi neurobiologiche affidabili può consentire un nuovo tipo di analisi della natura neurale dei disturbi psichiatrici. Infine, si condivide con gli autori dell’articolo l’auspicio che si possano realizzare studi coordinati e intensi per sfruttare al meglio le possibilità di nuova conoscenza fornite dall’analisi degli endofenotipi.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di studi di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Roberto Colonna

BM&L-04 aprile 2020

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Le dita di zinco svolgono un ruolo importante nel riconoscimento del DNA, la loro scoperta in Xenopus laevis è stata possibile grazie al fattore di trascrizione TFIIIA: i motivi zinc finger presentano uno o due atomi di Zn e sono caratterizzati da un tratto ad alfa elica che si inserisce nel solco maggiore del DNA, interagendo con le basi.

[2] Oltre la metà dei portatori di X fragile presenta tutti i sintomi di ASD; la sindrome è causata da una mutazione nella regione 5’ non codificante di un gene (FMR1, da fragile X mental retardation) che causa l’espansione di oltre 200 copie della tripletta CGG, responsabile dell’iper-metilazione della regione promotrice del gene FMR1, limitando l’espressione del suo prodotto, la proteina FMR1.

[3] Bailey A., et al. Autism as a strongly genetic disorder: Evidence from a British twin studies. Psychological Medicine 25, 63-77, 1995.

[4] Cfr. Basic Neurochemistry (Brady, Siegel, Albers, Price), The Neurochemistry of Autism, p. 1014, AP Elsevier, Waltham 2012.

[5] Un termine frequentemente usato, soprattutto negli USA per definire i nosografisti che tendono a raggruppare in poche classi molti disturbi è lumpers.